Le `strope` o `stropei` qui da noi in Veneto sono dei legacci totalmente naturali ottenuti da un albero che mi ha sempre affascinato e che ormai è sempre più raro da incontrare: il salice selvatico, chiamato localmente stropàro.
Coltivato lungo i fossi (o `progni`), nel mese di febbraio (nello stesso periodo in cui si effettuano le potature e le legature delle vigne) viene ‘capitozzato’ e da questa lavorazione si ottengono legacci di due misure: le strope, più grosse e robuste, che servono a legare le vigne ai pali, e gli stropèi, che invece sono più sottili e usati per fissare i tralci ai fili.

Tutti i rami vengono lasciati in acqua per un paio di settimane, in modo da ammorbidirli e facilitarne così la piegatura.

Affinché possa durare nel tempo, il legaccio viene annodato con una precisa tecnica, tramite un lavoro lungo e di pazienza; esistono tuttavia diverse tipologie di nodo, che differiscono a seconda della zona. Se effettuata ad arte, questo tipo di legatura può durare anche più di due anni.
Si tratta di una pratica affascinante e molto bio (gli ‘stropei’ sostituiscono, infatti, i legacci in plastica!) che ho avuto la fortuna di conoscere recentemente presso due cantine, una nella Valpolicella Classica e un’altra nell’asolano, nella zona del Prosecco, due bellissime realtà dove viene utilizzata esattamente come un tempo.
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Più difficile da utilizzare nelle aziende agricole di grandi dimensioni, nelle piccole realtà agricole consente invece una gestione eco-sostenibile e, allo stesso tempo, di tramandare di generazione in generazione questa antica tradizione contadina.

La tecnica della legatura delle viti con ‘strope’ e ‘stropei’ è diffusa anche in altre regioni italiane, come ad esempio in Val di Cembra (Trentino Alto Adige).
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