Il Vino Artigianale non sempre è sinonimo di qualità.
A molti sarà capitato di trovarsi in un convivio tra amici o parenti, magari seduti ad una bella tavolata sotto una fresca pergola fiorita, a banchettare per qualche ricorrenza o semplicemente per il gusto di stare insieme.
A questo punto qualcuno dei commensali se ne esce con la classica fiaschetta di vino esclamando: “Questo vino l’ha fatto in casa il contadino dietro casa”.
E nell’allegria (e ignoranza) generale sono tutti felici di poter disporre di chissà quale Elisir.
Poi si apre la fiaschetta, l’amico orgoglioso, tutto fiero di se, mesce nei vari bicchieri e già dal colore ci si accorge che qualcosa non va.
Ci si aspetta di bere qualcosa di forte, intenso, corposo, pieno, simile al sangue di S. Gennaro insomma, e invece ciò che appare assomiglia più ad una freschina estiva a base di gingerino.
Poi avvicinando il bicchiere al naso (ammesso che nell’estasi conviviale non si sia presi da altro e si trangugi il tutto con sprezzo del pericolo) la situazione comincia a precipitare.
E anche i sensi precipitano per via di quell’odorino di uova marce che accompagna un leggero sentore fruttato, ma acido.
Tuttavia, siccome è partito il brindisi dedicato “a questa compagnia”, si è costretti almeno adassaggiarlo.
E qui la lingua diventa come quella di una “Callista Chione”, meglio nota come “Fasolaro” (NDR – Mollusco che si mangia crudo nella città di Bari), quando gli si spreme il limone sopra prima di farne un sol boccone.
L’acidità del vino e quella sensazione di “Sciacquato” al palato confermano i sospetti di delusione montati man mano che il bicchiere veniva scansionato dall’alto verso il basso, prima dagli occhi, poi dal naso e infine dalla bocca.
Ma il peggio deve ancora arrivare.
L’amico contrabbandiere di vino guarda tutti con orgoglio già pregustandosi i complimenti per quel prodotto naturale e biologico “che tremare il mondo fa”, citando un vecchio adagio del mitico Bologna degli anni ’30.
Si è incerti se essere accomodanti, mascherando il disappunto, oppure avere un tumulto di orgoglio e come il Rag. Fantozzi esclamare ad alta voce “QUESTO VINO E’ UNA CAGATA PAZZESCA”.
Però, che devi fare, è un caro amico, ma si, non è che si muore per un bicchiere di vino mediocre, tutto sommato.
E si fa l’errore di rimanere al gioco, salvo poi la mattina successiva imprecare defunti e meretrici varie per quel pallone pesante in testa, che sembra che al posto dei capelli ci sia una parrucca di piombo.
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