Sagrantino di Montefalco momenti di felicità in un Vino Rosso

Lettore, scrittore, assaggiatore, sperimentatore. Mi piace leggere, scrivere, parlare di cucina e naturalmente mangiare. Il vino è una parentesi felice. I noiosi degustano, i curiosi bevono, i cercatori riempiono il bicchiere di emozioni.

A volte basta poco per essere felici.

Il vino può essere espressione di questa felicità

Ci sono posti, momenti e sensazioni legate a questo stato di benessere.

Felicità non confusione o stato di alterazione mentale. C’è un posto in particolare che rappresenta questi tre elementi e c’è un vino che trae giovamento da un’estate alchimia:

 

il Sagrantino di Montefalco.

Oggi ne parlano tutti ma in tempi non sospetti, quando ero un giovane studente a Perugia, eravamo soliti in maggio, andare per cantine. Più che cantine, si trattava di vigneti aperti.

Si arrivava comodamente dall’uscita di Foligno per le strade interne, verso Montefalco. Passata Bettona, altra indimenticata patria della porchetta, si attraversavano dei paesini medievali e poi si entrava in questa sorta di “Toscana minore”: colline che degradano dolcemente, campi di grano ed improvvisi castelli, poi Fiamenga ( che in Umbria indica anche un vassoio di salumi o leccornie varie), poi si attraversava il Topino e si giungeva nelle campagne di Montefalco, in cui si cominciavano a vedere ridenti vigneti, robusti e resistenti.

Il vero spettacolo però era lasciare la macchina in una trazzera impolverata e proseguire a piedi. Dopo qualche passo, compiuto di buona lena, ti aspettava un sorridente contadino, con un banchetto improvvisato, stile sagra, alla cui sommità troneggiavano, come nelle giostre medievali, tre dame o damigiane, esclusivamente di vino rosso.

Quelli più organizzati portavano il bicchiere oppure avevano acquistato quello della “strada del Sagrantino”.

In giapponese attesa del nostro assaggio, si parlava e ci si scambiavano consigli sulla prossima cantina o il prossimo viticoltore da visitare. Per ingannare l’attesa, c’era un assaggio di torta al formaggio e qualche salume paesano che avrebbe spianato la strada a siffatto vino.

E poi eccolo: intenso, rubino, che macchiava i calici.

Il primo impatto col Sagrantino è ruspante e sincero, nel senso che quel vino è lo specchio di chi lo fa e della sua terra. Potente, carico, sovrano, con un ingresso in bocca da bacca rossa infuocata, ti avvolge e riscalda col suo grado alcolico e poi ti lascia in bocca, l’eco di armate e di giostre, di cavalieri e di castelli medievali: sua maestà, il tannino.

Ora per qualche sprovveduto assaggiatore potrebbe sembrare quasi un’intimidazione ma se ti abbandoni al ruvido potere della terra, ti accorgerai che questo vino ha in se’ il sapore millenario delle stagioni che si susseguono e quello sguardo carico e suadente che è capace di avvolgere qualsiasi degustatore.

Sembra che in passato fosse considerato vino da messa, da ciò il suo nome. In realtà la sua storia è avvolta nella leggenda, alimentata in maniera sapiente dai grandi viticoltori e dal signore del Sagrantino: Marco Caprai.

Si narra che il vitigno fosse coltivato solo ed esclusivamente all’interno dei chiostri delle chiese o meglio dei monasteri, verosimilmente francescani.

La vite, che per sua natura è rupestre e cresce in condizioni climatiche ed ambientali anche ostili, si sarebbe sviluppata lungo le mura di cinta di Montefalco, per poi essere trapiantata nei terreni extra-moenia.

Sicuramente qualche purista e storico del posto si potrà offendere da questa mia narrazione ma mi conceda il beneficio del dubbio e la mia volontà affabulatoria.

Al di là delle leggende, il Sagrantino ha conservato quella purezza primitiva che per esempio non si può trovare nei vini di taglio bordolese; si è adattato al duro carattere della terra che a volte è dolce a volte è amara ma sempre sincera.

Oggi rappresenta la regione in cui è nato ed è una delle massime espressioni delle eccellenze vitivinicole italiane, un vino che non si imbarazza dinanzi ai francesi blasonati e che racchiude in se’ quel calore e quella corposità tipiche degli umbri.

Per chi preferisce un bicchiere sincero, immerso nella ridente campagna umbra a guardare l’austero Subasio e tutte le gemme medievali nascoste ad ogni crocicchio di strada, questo vino rivelerà l’essenza del contatto primigenio con la natura, accompagnandolo magari con qualche piatto di salumi e torta al testo o al formaggio; indomito sulle tagliatelle al tartufo o le pappardelle al ragù d’oca; esplosivo di fronte ad una natura, assorta nella sua magnifica bellezza.


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Cin-Cin!

 

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